domenica 16 agosto 2009

TERRA SANTA

Nella chiesa del Pater Noster a Gerusalemme, la preghiera del Padre Nostro è trascritta in tutte le lingue del mondo, in molti dialetti e anche in braille, la scrittura per i ciechi. E’ bello camminare con i ragazzi del centro davanti a questo simpatico atlante linguistico, mano nella mano scoprire che la preghiera “che Gesù ci ha insegnato” è giunta fino ai confini della terra, ma viene anche da pensare a quante lingue e forme di espressione rimangono ancora escluse: una meta irraggiungbile! Con quante e quali lingue possiamo parlare al Signore?
In realtà soltanto in Lui si esaurisce la molteplicità dei linguaggi, è Lui il maestro della Comunicazione che completa in sé ogni forma d’espressione. Eppure in Terra Santa il pellegrino avverte che il Signore è più loquace e, mettendosi in viaggio, desidera che parli con più evidenza là dove è vissuto, morto e risorto.
Anche noi abbiamo percorso le rotte e i sentieri dei pellegrini. Abbiamo sostato in preghiera davanti alla grotta di Nazareth, esplorato le rovine di Cafarnao in cerca della sua casa e della strada calpestata dai suoi passi. Abbiamo navigato sul lago di Tiberiade, su quelle acque a cui ha ordinato la quiete e sopra le quali ha camminato. Abbiamo cercato segni del Signore nelle placide acque del Giordano e nello scosceso e sassoso deserto di Giuda.
Come le innumerevoli schiere di pellegrini che ci hanno preceduto nei secoli ci siamo inchinati di fronte alla stella nella grotta di Betlemme, sostato in silenzio sul Golgota fino contemplare in preghiera di fronte al Santo Sepolcro.
Attorno si estende oggi una geografia segnata dalla guerra, dai contrasti tra religioni e i popoli. Ci siamo scandalizzati per i muri che dividono e la miseria dello status quo che regge la cura della Basilica della Natività o del Santo Sepolcro.
Con quale linguaggio e attraverso quali segni ci parla dunque il Signore?
Di fronte al Santo Sepolcro il Signore ci chiama per nome, come la Maddalena che credeva di parlare con il custode del giardino.
“Gesù le disse: "Maria!". Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: "Rabbunì!", che significa: Maestro!”
Dinanzi al sepolcro siamo chiamati per nome. Dio ci fa trovare noi stessi e, aprendoci gli occhi, ci rivela, ancora una volta, che Lui ci ama per primo. Fino dall’eternità ha pronunciato il nostro nome, ci ha amati per primo appassionatamente.
Il vero pellegrinaggio, inesausto e paziente, è quello del Signore che viene in cerca del nostro cuore e non cessa di chiamarci per nome.
Ecco come parla il Signore! Parla attraverso l’amore, la lingua che esaurisce tutti i linguaggi e che attraversa tutti i tempi e i continenti, compreso quello della disabilità.
La precedenza dell’amore divino schiude allora tutta la ricchezza della Parola di Dio, attraversa la storia di Israele, le alleanze e i tradimenti del popolo eletto, dona sostanza viva alle profezie e alle preghiere. Non è lo studio o l’ingegno, la perspicacia o l’intuizione brillante a svelarci il linguaggio di Dio.
La precedenza dell’amore divino dona nuova luce alle tappe del nostro pellegrinaggio. A Nazareth l’angelo ha chiamato per nome una ragazza semplice e umile che abitava in una povera grotta, in un luogo lontano oggi come allora, rivelandole un disegno inaspettato e grandioso. Attraverso l’angelo Dio ha annunciato le meraviglie del suo amore, ma prima ha chiesto di essere accettato e riconosciuto. E in attesa di quel sì il suo anelito d’amore è sceso fino alle profondità della terra, fino alla miseria di una casa scavata nella roccia per entrare nella Storia.
La grotta di Betlemme ci ha raccontato un fatto semplice e bello: la nascita di un bambino nella povertà di una grotta, l’amore più grande che si fa così piccolo e indifeso da chiedere il nostro abbraccio, il tepore di un bue e di un asinello.
Sulla roccia del Golgota il Dio fatto uomo ha preso su di sé tutto il male e la sofferenza del mondo per amarci fino alla fine e dimostrarci qual è l’amore più grande. Le pietre su cui oggi poggia un altare e una chiesa intera sono quelle toccate dalle gocce del Suo sangue, mute testimoni della sua passione. In quegli attimi – è da allora che quella roccia mostra una spaccatura profonda - già ci amava. Il Suo corpo sulla croce era fin da allora offerto in sacrificio per noi.
Anche per me.
E’ propriamente lo Spirito di Dio, il Dio Amore che si rivela oggi in questi luoghi e ci schiude gli orizzonti sconfinati dell’azione di Dio nella storia, nella Terra Santa, nelle anime.
A conclusione del nostro pellegrinaggio è stato proprio lo Spirito a manifestarsi attraverso la trasparenza dei ragazzi ed a parlare il linguaggio dell’esultanza e della lode. A Jaffa, nella chiesa di San Pietro, dove si ricorda la discesa dello Spirito Santo sul pagano centurione Cornelio e il definitivo aprirsi del Vangelo all’umanità intera, lo Spirito torna ad ampliare i confini del linguaggio e del pensiero, raccogliendo l’intera creazione, così come accadeva in principio, quando lo Spirito di Dio aleggiave sulle acque.


Il ballo della Tiziana e della Beatrice è stato, ancora una volta, il segno che lo Spirito passa anche attraverso quelle realtà che l’uomo considera malattia, errore, oscurità. La Croce infissa sul Golgota è accesa dal mistero luminoso della resurrezione. La croce del risorto diventa segnale irrinunciabile della precedenza e dell’infinita grandezza dell’amore divino. E’ un fatto che è dentro la storia e che dall’interno l’ha cambiata per sempre.
Arrivati a Gerusalemme il Signore, con il suo Spirito, ci chiama dunque per nome. Anche chi non sa leggere o comprendere le lingue percepisce il linguaggio di Dio, anzi, diventa tutt’uno con esso. Perché è anche attraverso i nostri nomi che lo Spirito parla, suscita il canto e la danza e indica terre non meno sante di quella in cui ha vissuto.