venerdì 23 dicembre 2011

Il Bambino e Gesù Bambino

Cari amici, 
vorrei condividere con voi la bella riflessione di un'amica. Nel testo non si fa riferimento alla disabilità, ma le sue parole sui "bambini" mi sembrano illuminanti anche per la nostra realtà. 

Bartolomé Esteban Murillo (1617, Sevilla - 1682, Sevilla), 
Gesù bambino offre da bere a San Giovannino” 
1675-80, Museo del Prado, Madrid
Il Natale è la festa così vicina alla nostra umanità che il suo significato è il più facile da travisare, da deviare. Il bambino Gesù che nasce nella stalla non lo sento un rimprovero al nostro benessere, ma un concentrarsi sull’essenziale: quel poco che basta al corpo e il grandissimo, profondissimo, fedelissimo amore di una madre e di un padre per il loro bambino. I bambini dell’Occidente - quelli che riescono a ‘trovare’ un ambiente ospitale e a nascere-  sono considerati protetti da molte violenze e fortunati oggetti di numerosissime cure. Eppure capita che vengano ingannati mentre si dice loro che hanno tutto e ci si sforza in quel senso ma non si riconosce loro il fatto di essere persone che hanno un’anima. Mentre vengono tenuti come ostaggi della nostra lotta da adulti con Dio e imponiamo loro la nostra stessa distanza da Lui. Mentre non si pensa che i bambini hanno anche fame d’amore autentico e non soltanto un corpo da coccolare con pappe purissime, abiti firmati e cremine bio. Ciò può andare bene ma sicuramente non basta.  Il bambino è un embrione spirituale che ha bisogno di vivere e di nutrirsi d’amore, di coerenza, di atteggiamenti veri, di purezza, continuità, equilibrio, fermezza e generosità umana.


Il bambino è l’eterno Messia che viene a noi, diceva Maria Montessori. Il bambino è mite, è paziente, dolce, finissimo ascoltatore, lottatore anche perché ce n’è bisogno in un mondo assuefatto all’intrusione, allo stravolgimento. Il bambino è la creatura più umile, più desta e amorevole del mondo. Dovremmo riflettere su questa stupenda perfezione con cui ognuno di noi è nato e chiederci dov’è finita la piccola luce gioiosa dei nostri occhi. Soltanto i santi, i più grandi hanno saputo ritrovare la strada di una simile intensità di vita, di un’infanzia ormai divenuta spirituale. Noi gli insegniamo a mangiare, a vestirsi, a comportarsi, quanto fanno 2 più 3 ma se lo osserviamo attentamente il bambino è un piccolo maestro d’amore. Quell’amore che - se non viene stravolto da noi -  è magnanime, benevolo, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interessse, non si adira, non tiene in conto il male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Quel amore che tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.


Leggevo tempo fa nel Diario della Divina Misericordia lasciatoci da Suor Faustina Kowalska – "Pregate per i bambini."! E io mi sono chiesta: ma come ... pregare per i bambini e non per i vecchi, per i malati, per i feriti della vita!? Pregare per lui, per il bambino  già così coccolato, così protetto, così curato, che tutto ignora degli strazi del mondo!? Per molto tempo non l’avevo capito che all’amore del bambino non si può mentire, che lui ci ama così tanto che aderisce a noi con tutte le fibre del suo piccolo essere. Lui assorbe tutto da noi, anche quello che sappiamo di non aver mai detto in sua presenza. Il bambino assorbe per amore la nostra essenza più profonda, i nostri pregi, ma anche le nostre mancanze non colmate prima del suo arrivo. E allora... è un’essenza di pace pace o un’essenza di guerra la nostra? A parte il nutrimento eccellente che noi diamo al corpo dei bambini, quale nutrimento interiore siamo noi per loro?

Il bambino è sole raggiante d’amore e l’avvenire dell’umanità si sta già giocando in ogni attimo nel saper o meno accogliere questo bambino: lo vogliamo rendere simile a noi o ci laviamo mani e sguardi per ricevere degnamente questo dono di Dio? Per essere degni custodi di lui? Vedete, ho detto custodi e non suoi artefici. Per questo credo di aver capito che bisogna pregare per i bambini: affinché vengano protetti dai mali che inconsapevolmente, banalmente, mortalmente prolunghiamo in noi nel nostro oggi. Ecco l’essenza di questo Avvento che è nostro grande amico perche’ ci da tempo per pulire il castello della nostra anima in attesa di un sì grande Ospite. Ecco la bellezza dell’attesa operosa che prima purifica e guarisce per poi unire degnamente nella gioia dell’Incontro. Vivere bene l’avvento è il nostro primo gesto di amore vero nei confronti di chi deve ancora arrivare. Quando noi saremo un po’ più puliti e adorni di tutti i doni dello spirito, allora ben venga il piccolo grande ospite perche’ sarà degnamente accolto, avrà di che cosa nutrirsi bene e da chi imparare a diventare uomo.

Il Bambin Gesù e sulla sua scia ogni bambino ci offrono dolcemente la via dell’Amore e ci strappano da un Natale degli involucri, da un Natale di fame infinita e di dissoluzione. Il bambino ci indica la via del piccolissimo che ha pienezza e perfezione. Il bambino Gesù è la lettera d’amore più bella e tenera che Dio ci abbia scritto e ogni bambino la ripresenta nella nostra vita. In verità, come scriveva Rabbindranath Tagore "Ogni bimbo che nasce reca al mondo il messaggio che Dio non è ancora stanco dell’uomo" .
Buon Avvento e buon Natale a tutti!
Gabriella Molcsan
10 dicembre 2011

lunedì 28 novembre 2011

Meditazione e preghiera (e pizza!)

Finalmente ci ritroviamo!!! SABATO 3 DICEMBRE, ore 17.30 nella Cappella Maria Madre Nostra ci riuniremo

per meditare e pregare insieme davanti al Signore. In questo tempo di Avvento "sintonizziamoci" tutti sulla Parola e sull'Adorazione del Signore che viene di nuovo in mezzo a noi. In particolare avremo l'occasione di meditare, con l'aiuto di don Diego, la Lettera Apostolica Porta Fidei del Papa Benedetto XVI.  A seguire come sempre faremo una cena informale!
Non mancate!

1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore. 

2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone. 

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10]

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).

7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo. 

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” [16].

10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.
L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17].
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore [18].
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.
11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” [21].
E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede.
Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.
12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità [22].

13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.

14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18).
La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).

15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.

Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.
Benedetto XVI

martedì 1 novembre 2011

Pellegrini a Roma sulle orme di Giovanni Paolo II. Nuova Evangelizzazione e il Motu Proprio “Porta della Fede”.

Ciccio - Stefano
Ciccio è stanco. Nella grande basilica di San Pietro è trascinato a fatica lungo le navate fino all’altare di San Sebastiano, dove riposano le spoglie del Beato Giovanni Paolo II. Ha gli occhi abbottonati dal sonno: la notte non ha dormito. Immobile, con il capo chino, non è stupito dai marmi e dalle proporzioni della basilica vaticana, ma pende pericolosamente in avanti richiamato da un sonno inesorabile. Davanti scorre la folla che sfila, ora in preghiera, ora incuriosita, di fronte alla tomba del papa. Anche noi siamo lì per lui, per ringraziarlo e pregarlo. Giovanni Paolo II è il nostro amico. Ognuno, d’altronde se lo sente un po’ suo. Francesca, una ragazzina down dolce e paffuta, mi racconta che quando era piccola il papa le ha dato un bacio sulla fronte.
Celebriamo la messa in San Pietro nella prima memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo. Nelle lettura dell’ufficio è stato inserito il suo celebre discorso inaugurale. “Non abbiate paura! Cristo sa "cosa è dentro l'uomo". Solo lui lo sa! Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. E' invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi - vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia - permettete a Cristo di parlare all'uomo. Solo lui ha parole di vita, si! di vita eterna”.
La nostra visita cade nei giorni in cui si è molto parlato di “Nuova Evangelizzazione”. Un convegno  organizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (Nuovi evangelizzatori per la nuova evangelizzazione. ‘La Parola di Dio cresce e si diffonde’”), ha raccolto in Vaticano, per l’iniziativa di Mons. Rino Fisichella, movimenti, esperti, delegazioni, associazioni provenienti da tutto il mondo. Qualche giorno prima, l’11 ottobre, il papa ha reso noto il Motu Proprio “Porta della Fede”, in cui ha proclamato un anno dedicato alla Fede che avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
In San Pietro, mentre attendiamo la Messa nella cappella di San Giuseppe, scopro che il mosaico sull’altare fu voluto da Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio. Sulla panca è con me Francesca, che però non sembra molto interessata al mosaico, ma mi abbraccia e mi circonda di coccole. Stefano – detto Ciccio- dietro di noi può arrendersi definitivamente al sonno, tanto da lasciarsi sfilare di mano il portafoglio che sempre tiene stretto come il bene più prezioso. La mia evangelizzazione passa per questi incontri.  “E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9, 36-37).
E’ la Francesca che mi abbraccia o sono io, piuttosto, che cerco il suo tenero abbraccio? “In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva. (Mc 10, 16)”. Cosa avranno provato quei bambini tra le braccia di Gesù? Avranno percepito l’amore di Dio in quel gesto così delicato e familiare? Eppure tra le braccia della Francesca mi sento come tra le braccia di Gesù.
Non pochi cristiani (…) dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi (Motu Proprio, Porta della Fede).  Per molti di noi è stata l’università dell’handicap la “porta della fede” che ci ha fatto crescere nell’amicizia con Gesù. E’ lui, attraverso i piccoli, il protagonista dell’Evangelizzazione.
Attraverso tutto il suo pontificato papa Wojtyla ha continuamente riproposto la centralità di Cristo, dal discorso di apertura, ai discorsi rivolti ai giovani in occasione delle GMG  come nei giorni gloriosi del Giubileo del 2000, fino alla fine della sua vicenda terrena. Così il Papa ci ha insegnato che soltanto uno sguardo puntato su Cristo permette di guardare con profondità nel mistero dell’uomo. Forse non tutti hanno avuto il privilegio di ricevere il bacio del Papa come Francesca, ma quanti si sono sentiti scrutati dallo sguardo di Giovanni Paolo II? Il suo sguardo era fermo e penetrante, quello di un contemplativo che vive nel mondo e lo conosce bene.
Ma per primo Gesù ha fatto così. Nei Vangeli i discepoli parlano sempre di folla, di massa anonima che si accalca attorno al maestro, fin quasi a schiacciarlo e impedirgli di muoversi. I discepoli parlano di numeri per cui è impossibile disporre del cibo, di categorie o classi sociali. Gesù è diverso. Ha cercato un incontro personale, un coinvolgimento diretto, perché nella vita delle persone che ha incontrato, magari attraverso una ferita dell’anima, una relazione problematica, una malattia o una domanda insopprimibile, potesse farsi spazio ed entrare a portare la luce, la guarigione, la Verità.
Se è vero che l’Europa in particolare ha dimenticato il “volto del Signore”, spegnendo l’orizzonte cristiano che contraddistingue la sua identità, occorre ripartire da un rinnovato incontro con Gesù. Una costatazione che sta alla base dell’Istituzione del Pontificio Consiglio per Nuova Evangelizzazione, ma in parte già espressa nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte (n.58) e dal documento Ecclesia in Europa promosso da Giovanni Paolo II nel 2003: “Sì, dopo venti secoli, la Chiesa si presenta all'inizio del terzo millennio con il medesimo annuncio di sempre, che costituisce il suo unico tesoro: Gesù Cristo è il Signore; in Lui, e in nessun altro, c'è salvezza (cfr At 4, 12). La sorgente della speranza, per l'Europa e per il mondo intero, è Cristo, « e la Chiesa è il canale attraverso il quale passa e si diffonde l'onda di grazia scaturita dal Cuore trafitto del Redentore» (Ecclesia in Europa, 18). Una considerazione che è un invito pressante, riproposto ultimamente nella lettera “Porta della Fede” di Benedetto XVI: “Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede”.
Con insistenza il Papa continua a sottolineare la gioia che proviene dalla fede, dall’amicizia sincera con Cristo. Il sorriso di Fabio, la gioia della Francesca o le risate di Stefano mi fanno comprendere meglio il senso di questa gioia. Prego insieme a Francesca l’Ave Maria che mi chiede di recitare per la mamma.
Quale evangelizzazione possono proporre questi piccoli? Forse occorrerà impegnarsi perché divengano protagonisti, prima di tutto attraverso l’amicizia con loro e le famiglie; certamente attraverso lo studio e il Catechismo, l’elaborazione di sussidi e modalità nuove con cui aprirsi e aprirli ai più diversi linguaggi espressivi. Ma soprattutto occorrerà lasciare che siano loro a “lavarci i piedi”,  a mettere in discussione il nostro criterio di volontariato e servizio. “Se io non ti lavo non avrai parte con me” (Gv 13,8). Se non mettiamo da parte le nostre sicurezze, le gerarchie che regolano il nostro sistema di relazioni come potremo farci evangelizzare? Allo stesso tempo è chiaro che la Parola e l’Eucarestia sono i canali privilegiati per farci scoprire la reale presenza di Gesù in questi piccoli quale mistero sospeso tra cielo e terra, luce e tenebra, capacità e disabilità.
Nella messa con i gravi la Parola si fa ancora più “pesante”! E il pane spezzato sull’altare si riflette sul corpo spezzato di queste piccole “ostie bianche” da adorare, ma anche da servire e accogliere.  Eppure con loro non siamo soltanto trascinati sul crinale del mistero: i piccoli sono portatori di un annuncio che parla di resurrezione. E’ il kerigma trasmesso agli apostoli che si è diffuso in tutto il mondo: Gesù crocifisso, morto e risorto per noi è risorto il terzo giorno! I sorrisi e le tenerezze dei ragazzi, il modo in cui i più gravi partecipano alla messa, le modalità con cui pregano Lorenzo, Maddalena, o Andrea, sono segni luminosi della presenza del Risorto.
Dopo pranzo, terminato il pellegrinaggio in San Pietro, Ciccio è sveglio e soddisfatto. Il pasto lo ha allietato. Se durante la mattinata non è stato affatto loquace adesso ride compiaciuto spolverando tutto il repertorio di espressioni abituali. Per me è il momento dei saluti perché il gruppo riparte per Pistoia, mentre io rimango ad limina Petri. I ragazzi mi salutano con fervore tanto da farmi commuovere. Tutti salgono sul pullman, compresa la Francesca che mi sorride da dietro il finestrino. Un saluto imprevisto mi coglie impreparato, come se per la prima volta mi sentissi chiamare per nome: “Ciao..Ugo!”
 Mi volto: è Stefano che alle mie spalle ha deciso di salutarmi.  Si è ricordato il mio nome ed ora mi guarda sorridendo. Non è facile che Stefano parli, ancora meno che chiami qualcuno per nome, così il suo saluto inaspettato mi è rimasto impresso per tutto il giorno, riempiendomi il cuore di tenerezza. Non è questa la gioia che più si può assimilare al lieto annunzio di Gesù? Stefano è dunque un maestro dell’evangelizzazione! E’ la voce di Stefano e con questa Gesù che passa?
“No, non una formula ci salverà, ma una persona, e la certezza che essa ci infonde : Io sono con voi ! Non si tratta, allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria,e trasformare con lui la nostra storia fino al suo compimento nella Gerusalemme Celeste” (Novo Millennio Ineunte, 29).

mercoledì 31 agosto 2011

UNA SINTESI DELLA GMG? LE PAROLE DEL PAPA!


Rileggere il messaggio preparato da Benedetto XVI per la Veglia a Cuatro Vientos mi ha quasi commosso. La veglia, d’altra parte, è stato il momento dolente di tutta la GMG: l’acqua, il vento, il discorso mancato del Papa, un’evidente disorganizzazione e lo smarrimento generale. Non era certamente il momento più opportuno per ascoltare con attenzione un’omelia. Una volta a casa però, sorprende il contenuto semplice e diretto del testo preparato per la veglia. Il discorso è breve e senza giri di parole e mancano passaggi più scopertamente teologici, già presenti nei discorsi di Colonia e Sydney.



Sì, cari amici, Dio ci ama. Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio. Rimanere nel suo amore significa quindi vivere radicati nella fede, perché la fede non è la semplice accettazione di alcune verità astratte, bensì una relazione intima con Cristo che ci porta ad aprire il nostro cuore a questo mistero di amore e a vivere come persone che si riconoscono amate da Dio.

Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona.

Cari giovani, non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo.

Nella vita le prove non mancano mai, ma la tempesta di Cuatro Vientos lascia intuire in una forma decisamente esperienzale che cosa significa scoprire “in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria”! Nei momenti in cui infierivano l’acqua e il vento e noi cantavamo a squarciagola per tenere allegri i ragazzi, il canto sapeva davvero di preghiera ed i sorrisi e l’allegria dei ragazzi di vera gioia. Nel testo, pur breve, il papa non ha mancato di inserire un riferimento alla sofferenza. Le scoperte più importanti e dirompenti dell’età giovanile non sono forse l’amore e la sofferenza?


Egli, che prese su di sé le nostre afflizioni, conosce bene il mistero del dolore umano e mostra la sua presenza piena di amore in tutti coloro che soffrono. E questi, a loro volta, uniti alla passione di Cristo, partecipano molto da vicino alla sua opera di redenzione. Inoltre, la nostra attenzione disinteressata agli ammalati e ai bisognosi sarà sempre una testimonianza umile e silenziosa del volto compassionevole di Dio.

Cari amici, che nessuna avversità vi paralizzi! Non abbiate paura del mondo, né del futuro, né della vostra debolezza.
Il Signore vi ha concesso di vivere in questo momento della storia, perché grazie alla vostra fede continui a risuonare il suo Nome in tutta la terra.

Dopo un passaggio dedicato alla scoperta della propria vocazione, la conclusione risponde chiaramente alla domanda più urgente, quella che ogni giovane pellegrino si pone durante e dopo la GMG: “Come fare continuare questa gioia? Come si puà vivere da cristiani? Come essere testimoni?” 

Cari giovani, per scoprire e seguire fedelmente la forma di vita alla quale il Signore chiama ciascuno di voi, è indispensabile rimanere nel suo amore come amici. E come si mantiene l’amicizia se non attraverso il contatto frequente, la conversazione, lo stare uniti e il condividere speranze o angosce? Santa Teresa di Gesù diceva che la preghiera è «conversare con amicizia, stando molte volte in contatto da soli con chi sappiamo che ci ama» (cfr Libro della vita, 8).

Vi invito, quindi, a rimanere ora in adorazione di Cristo, realmente presente nell’Eucarestia. A dialogare con Lui, a porre davanti a Lui le vostre domande e ad ascoltarlo. Cari amici, prego per voi con tutta l’anima. Vi supplico di pregare anche per me. Chiediamo al Signore, in questa notte, attratti dalla bellezza del suo amore, di vivere sempre fedelmente come suoi discepoli. Amen!

Il concetto è ribadito anche nell’omelia della mattina successiva con maggiori puntualizzazioni:

Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare «per conto suo» o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un’immagine falsa di Lui.

Aver fede significa appoggiarsi sulla fede dei tuoi fratelli, e che la tua fede serva allo stesso modo da appoggio per quella degli altri. Vi chiedo, cari amici, di amare la Chiesa, che vi ha generati alla fede, che vi ha aiutato a conoscere meglio Cristo, che vi ha fatto scoprire la bellezza del suo amore. Per la crescita della vostra amicizia con Cristo è fondamentale riconoscere l’importanza del vostro gioioso inserimento nelle parrocchie, comunità e movimenti, così come la partecipazione all’Eucarestia di ogni domenica, il frequente accostarsi al sacramento della riconciliazione e il coltivare la preghiera e la meditazione della Parola di Dio.

L’adorazione conclusiva è stata il cuore di tutta la veglia. La pioggia e il vento sono cessati per il tempo necessario alla preghiera e alla benedizione finale, mentre nella spianata di Cuatro Vientos si è creato un silenzio immediato, praticamente assoluto. In quei momenti, disorientato dal temporale e incerto sullo svolgimento della veglia, mi preoccupavo per i pellegrini più giovani: “Che idea si faranno in questo marasma? E che penseranno di questo papa stanco e invecchiato, a mala pena coperto dagli ombrelli da una serqua di cerimonieri e ministranti? Che idea si faranno della Chiesa e di una serata così incerta, in cui nessuno offre chiarimenti e gli organizzatori sembrano dimenticarsi di questa folla sterminata di pellegrini?”. Ma poi, inginocchiato in preghiera davanti a Gesù Eucarestia, mi diventava sempre più chiaro, nella mente e nel cuore, che il Papa è quello che invita e addita, il “servus servorum”, e che il centro di ogni GMG non è il Papa, e in fondo nemmeno i giovani, ma Gesù Cristo! Gesù è realmente presente in questi momenti di grazia! Gesù stesso passa, chiama e provoca oggi così come ha fatto con i discepoli. Quella sera e nei giorni precedenti Egli era presente nell’eucarestia, nel sacramento della riconciliazione, nella preghiera, nell’ascolto della Parola e nell’opera dei ministri della Chiesa, nella Sua Chiesa, nei ragazzi della Comunità: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Provare a chiedere…per credere!

La mattina successiva alla Veglia, verso le 6.00 mi sono alzato dal sacco a pelo. Intorno c’era molto sonno: una distesa a perdita d’occhio di giovani addormentati uno accanto all’altro. Di ritorno dai bagni ho incrociato uno dei tendoni che custodivano il Santissimo Sacramento. C’era molta gente in preghiera inginocchiata in silenzio di fronte al tabernacolo. Mi sono unito a loro mentre il buio trascolorava nel chiarore dell’alba e la spianata si rianimava lentamente. Ancora una volta le parole del papa, quelle che avrebbe pronunciato poco dopo, durante l’omelia del mattino sono calzanti per descrivere quel momento di grazia speciale:

La fede non è frutto dello sforzo umano, della sua ragione, bensì è un dono di Dio: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne, né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Ha la sua origine nell’iniziativa di Dio, che ci rivela la sua intimità e ci invita a partecipare della sua stessa vita divina. La fede non dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì suppone una relazione personale con Lui, l’adesione di tutta la persona, con la propria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione che Dio fa di se stesso. Così, la domanda «Ma voi, chi dite che io sia?», in fondo sta provocando i discepoli a prendere una decisione personale in relazione a Lui. Fede e sequela di Cristo sono in stretto rapporto.

(…)  Cari giovani, anche oggi Cristo si rivolge a voi con la stessa domanda che fece agli apostoli: «Ma voi, chi dite che io sia?». 

Rispondetegli con generosità e audacia, come corrisponde a un cuore giovane qual è il vostro. Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio, che hai dato la tua vita per me. Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola. Tu mi conosci e mi ami. Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani. Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene, la gioia che mai mi abbandona.





lunedì 29 agosto 2011

La nostra Associazione su SAT2000!

Cari amici, di ritorno da Madrid abbiamo un sacco di cosa da raccontare!
Iniziamo con una intervista realizzata da SAT2000 nei giorni della GMG..


Insieme a don Diego Maria Pancaldo, vi proponiamo la realtà dell’associazione “Maria Madre Nostra” che opera la spiritualità dell’handicap, principalmente nella diocesi di Pistoia seguendo circa 2000 persone disabili. Ecco la loro testimonianza.

mercoledì 22 giugno 2011

30 anni di messaggi

Cari amici,
il 24 giugno 1981 la Madonna è apparsa per la prima volta a Medjugorie.
Dopo 30 anni Maria continua ad accompagnare con amore materno i suoi figli: "Se sapeste quanto vi amo piangereste di gioia!"
In occasione del trentennale delle apparizioni ho caricato sul nostro canale di Vimeo la puntata di Ora Insieme dedicata al nostro pellegrinaggio a Medjugorie...


Pellegrini a Medjugorie from madrenostra on Vimeo.

buona visione..

martedì 7 giugno 2011

una mano sulla...coscienza...

Cari amici,
sabato vivremo una giornata decisamente importante.
La mattina parteciperemo alla prima assemblea della ASSOCIAZIONE PISTOIESE PER LA RIABILITAZIONE. Dopo un "annus horribilis" vediamo finalmente la luce! Ma questo è soltanto il primo passo di un cammino tutto in salita.
Capitano a proposito, mi pare, le parole che il Papa ha pronunciato in questi giorni nel suo viaggio in Croazia rivogendosi ai rappresentanti del mondo civile. Il tema del suo discorso era "la coscienza". 
Mi pare bello ripartire da qui, perchè la nuova Associazione riconosca sempre meglio il proprio carisma di accoglienza, assistenza, riabilitazione in senso ampio e formazione, con l'augurio che la nuova realtà - aperta a tutti, pur senza essere "neutra" - si lasci dunque guidare da un autentico desiderio di servizio e di comunione che nasce dalla famiglie e si estende ai volontari. 

La nostra giornata si chiuderà dalle ore 18.30 in poi in Piazza del Duomo per l'incontro Diocesano nella Veglia di Pentecoste. Sarà un momento ecclesiale eccezionale e imperdibile. Alle 21 sarà celebrata dal Vescovo la Messa in Piazza. Non mancate!

La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia dipendono in buona parte da questo punto “critico” che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla sua formazione. Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c’è speranza per il futuro.
(…) È nella formazione delle coscienze che la Chiesa offre alla società il suo contributo più proprio e prezioso. Un contributo che comincia nella famiglia e che trova un importante rinforzo nella parrocchia, dove i bambini e i ragazzi, e poi i giovani imparano ad approfondire le Sacre Scritture, che sono il “grande codice” della cultura europea; e al tempo stesso imparano il senso della comunità fondata sul dono, non sull’interesse economico o sull’ideologia, ma sull’amore, che è “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (Caritas in veritate, 1). Questa logica della gratuità, appresa nell’infanzia e nell’adolescenza, si vive poi in ogni ambito, nel gioco e nello sport, nelle relazioni interpersonali, nell’arte, nel servizio volontario ai poveri e ai sofferenti, e una volta assimilata la si può declinare nei più complessi ambiti della politica e dell’economia, collaborando per una polis che sia accogliente e ospitale e al tempo stesso non vuota, non falsamente neutra, ma ricca di contenuti umani, con un forte spessore etico. È qui che i Christifideles laici sono chiamati a spendere generosamente la loro formazione, guidati dai principi della Dottrina sociale della Chiesa, per una autentica laicità, per la giustizia sociale, per la difesa della vita e della famiglia, per la libertà religiosa e di educazione.
Benedetto XVI

domenica 8 maggio 2011

Pentecoste..in vista

Cari amici,
sabato 11 giugno in Piazza del Duomo a Pistoia siamo invitati a partecipare alla Veglia di Pentecoste Diocesana. Saremo presenti come "Associazione Maria Madre Nostra" insieme a tante realtà ecclesiali ma siamo invitati anche ad offrire un contributo originale.

La Diocesi ha infatti redatto un sussidio per prepararsi all'evento che potete trovare a questo indirizzo insieme a ulteriori informazioni:


Purtroppo la nostra Associazione non ha avuto occasione di dedicare un incontro specifico alla preparazione della serata, anche perché la quaresima, come vi siete resi conto, è stata molto impegnativa per le vicende AIAS. Abbiamo lanciato l'appuntamento di Giugno durante il nostro pellegrinaggio a Medjugorie che, in un certo senso, è stata una bella e intensa occasione per meditare sulla nostra realtà associativa. (e che potete vedere anche qui: http://www.tvl.it/programmi/ora-insieme)
In vista della veglia, infatti, ogni realtà ecclesiale (parrocchie, associazioni, gruppi...) sono chiamati a esprimere una propria riflessione guidati dal racconto del Vangelo di Matteo, di Gesù che cammina sulle acque e fa camminare lo stesso Pietro, impaurito dai flussi delle acque e dal vento forte.

"Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: "È un fantasma!" e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: "Coraggio, sono io, non abbiate paura!". Pietro allora gli rispose: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".

Le nostre riflessioni, una volta selezionate dalla Diocesi, saranno pubblicate su un libretto da consegnare a tutti durante la veglia.
I contributi dovrebbero essere suggeriti da queste due domande:

1. Che dono sono per la tua vita la fede e la chiesa?

In che situazione della vita hai sperimentato che il Signore ti faceva “camminare sulle acque” ?

2. Quale dono possiamo fare al mondo di oggi come chiesa e come credenti?

Il nostro lavoro deve essere riconsegnato tra...una settimana! entro il 15 maggio!

In effetti siamo un po' in extremis, ma mi permetto di chiedervi questo sforzo per due ragioni:
1. Perché dopo un anno terribile come questo è necessario mettere in luce, di fronte a tutti, l'essenziale, il cuore pulsante "dell'ex AIAS". Far emergere, davanti alla città, la bellezza e la ricchezza che la nostra realtà ha scoperto e di cui ha necessità tutta la chiesa di Pistoia.
2. Perché mai come in questi giorni il brano del Vangelo di Matteo assume una forza e un'attualità che non possiamo sentire vicine, riassuntive di tutto il dramma che abbiamo vissuto in questi mesi. Può essere l'occasione, aldilà della contingenza, di condividere le nostre riflessioni su quanto è capitato e su quale sia "il carisma proprio, identitario" della nostra realtà.

Potete scrivere il vostro pensiero come commento a questo post, oppure inviando una mail
al seguente indirizzo: madrenostra@gmail.com

Vi ringrazio di cuore!